lunedì 31 maggio 2010

Calcolo dei tempi

NO, non è una nuova branca della fisica, ma è una specialissima attitudine che ho dovuto sviluppare nella mia vita da adulta (coincisa con la nascita della seconda figlia, infatti, fino a quando devi gestirne solo uno di figli - che mangia, dorme, gioca e ride - la vita è ancora una passeggiata da adolescenti).
Prima se dovevo arrivare ad un appuntamento alle 5, uscivo di casa alle 5 (e qualche minuto). Oggi, visti gli incastri quotidiani so calcolare perfettamente i tempi di trasferimento e realizzazione di qualsiasi cosa, da un viaggio transatlantico ad una caffè con le amiche.
Leggendo About a boy, di Hornby, mi sono trovata a simpatizzare col protagonista che parcellizza le giornate per farle passare senza morire di noia. Nel mio caso, devo parcellizzarle per non affogare negli impegni.
Tot minuti cuoci la pasta, spegni, tot minuti recuperi una figlia, tot minuti mangi, tot minuti leggi il giornale, tot minuti esci, tot minuti urli perchè sistemino la loro stanza, tot minuti etc.
Riuscire a fare due cose contemporaneamente fa recuperare tot minuti, ma spesso presenta danni collaterali (tipo, passo l'aspirapolvere e faccio una telefonata senza auricolare: male al collo per la posizione ad incastro del telefono).
Ci sono anche gli effetti positivi: adesso riesco a considerare 10 minuti liberi una gran regalo (prima li sprecavo in qualcosa di futile tipo respirare e basta).
Ovvio che in una giornata parcellizzata, qualsiasi cosa faccia saltare gli incastri è micidiale (tipo, stanno asfaltando la strada e ti tocca stare in fila).
E' per questo che quando le Kids sono dai nonni (una settimana alla fine della scuola) parte l'anarchia totale: strappo la sveglia, arrivo a lavorare pressapoco alle 10, mangio sedano e maionese stravaccata sul divano guardando programmi assolutamente futili come il telegiornale, vado a letto alle 2 e mi metto a leggere fino a quando mi addormento.
Lo so che buona parte della popolazione adulta vive così, e gli piace anche. Ma a me sembra di essere come il criceto nella ruota, puoi anche smettere di correre ma la ruota continua.

lunedì 24 maggio 2010

Psicopatologia degli oggetti e degli abiti

Questa mattina mi sono chiesta per l'ennesima volta perché un oggetto così comune come il tubetto del dentifricio non abbia mai subito evoluzioni nella forma, visto la sua completa e totale inadeguatezza. In una casa con 4 abitanti (2 adulti e 2 minorenni) viene aperto e strizzato almeno 8 volte al giorno. Visto che tutti evidentemente odiano chiudere il tubetto (in casa mia nessuno lo chiude tranne me, e da un sondaggio a tappeto tra le conoscenti femmine è emerso che mariti e figli/e al 99% fanno uguale), la cosa più logica sarebbe creare un tubo con dispenser, senza tappo. Non è difficile da pensare, ma tranne qualcosa negli anni '80 non ricordo di aver mai visto niente di simile, perlomeno non nelle marche che pratico.
Questo risolverebbe anche il problema dello strizzamento, so che c'è gente che ha divorziato per questo, altri che hanno sgozzato il partner, e conviventi che si sono separati dopo 20 anni di felice vita in comune. Io non arrivo a tanto: mi sono sforzata di strizzarlo al centro, ho preso atto che era scomodissimo (bisogna avere un cervello massimo da 11enne per farlo), e mi sono rassegnata a ripiegare il tubetto e strizzare in cima. Però non mi disturba trovarlo strizzato (in un inizio giornata normalmente isterico, se si tratta di una giornata esageratamente isterica è diverso, però mi limito a decorare i cuscini delle mie figlie di dentifricio, giusto per lanciare il messaggio), quello che ribadisco è: il dispenser risolverebbe anche questo problema. Ma, visto che i progettisti di dentifrici con tutta probabilità sono maschi - e quindi a casa hanno una moglie che chiude il tubetto e lo arrotola - per loro non costituisce un problema.
D'altra parte, perché stupirsi del dentifricio, quando si ha a che fare con un reggiseno, che gode di una doppia macchia alla nascita: progettato da un maschio, ingenere .... e questo è bastevole per capire perché sia così scomodo.
I maschi i reggiseni li tolgono, non se li mettono (a parte qualche caso, ma non mi sembra rilevante statisticamente), altrimenti non si spiega perché siano allacciati DIETRO. Oppure, nella variante supermasochistica, di fianco (non sotto all'ascella, dove una arriva comodamente, no, 5 cm più in là dove ci arrivi solo a prezzo di contorcimenti degni di una star del circo Medrano!).