sabato 22 marzo 2008

Le Benevole (un po' deliranti)


Le Benevole, di J. Littell - dicembre 07-marzo 08 .... c'è voluto un po' di tempo per finirlo.

Delirante, e credibile. Non mi vengono in mente altri aggettivi per descriverlo.
La testa di Max Aue non è un posto simpatico dove passare 900 pagine con quel suo misto di fredda razionalità, romanticismo e delirio. Così come la Germania del 20ennio nazista non è di certo un posto gradevole da frequentare con quel suo misto di fanatismo, devozione cieca al Furher e cieca accettazione della volontà "superiore". Però io non sono riuscita ad uscirne prima della fine.
Non mi hanno fatto orrore le descrizioni dei pogrom e neanche di Stanlingrado o Berlino negli ultimi mesi: non mi sembra che Littell si inventi alcunchè di nuovo o sconosciuto, se si è letto un minimo di storia contemporanea. Non mi ha fatto orrore nemmeno l'uccisione della madre e del patrigno (altrimenti non leggerei più neanche le tragedie greche). Gli unici due omicidi orripilanti perchè "ingiustificati" sono quelli del vecchio junker e di Mahui. Totalmente gratuitii e per questo molto più efferati di tutti gli altri stermini. Perlomeno, se li vogliamo misurare col metro di Aue. Per il quale, da buon SS, i pogrom ed Auschwitz erano una pura e semplice questione di contabilità. E' facile, oggi, dire che non è possibile che si difendessero con la scusa della catena del comando, ma non bisogna dimenticare che Hitler (come Mussolini e Franco) sono andati al potere CON il consenso della maggioranza, non CONTRO. Perchè la maggioranza di tedeschi, italiani e spagnoli era con loro, non contro di loro. E questo vorrà dire qualcosa in termini di mentalità e sentire comune, o no?
La trama: Max Aue, giovane ufficiale tedesco delle SS scampato alla guerra, si rifà una vita in Francia, impunito per la legge ma non per se stesso. Ripercorre il suo passato perchè - forse - cerca una giustificazione, o - nonostante dica il contrario - vuole lasciare una traccia di sè.
Orfano di padre - fiero nazionalsocialista d'antan (a proposito: ma chi era veramente e che fine ha fatto?)-, legato alla sorella gemella Una da un rapporto morboso ed incestuoso (altro quesito irrisolto: la uccide? o è tutto un sogno?), viene cacciato dalla famiglia proprio per questo.
L'allontanamento dall'adorata sorella, l'odio per il patrigno e l'indole personale lo portano, dopo gli studi, in Germania ad abbracciare la causa del nazismo.
L'incontro con Thomas, un suo doppio con tutte le note positive che non ha, in particolare una felice attitudine nei confronti della vita ed un'ilare propensione per l'intrigo - sarà determinante in molti momenti cruciali.
SEguito e protetto nell'ombra da due affaristi amici di suo padre (Mandelbrod e Linden, le uniche 2 macchiette del libro, insieme agli ispettori della Kripo Clemens e Waser) inizia la sua carriera nelle SS.
Ligio al dovere e permeato nello spirito nazi, dopo qualche passo falso che gli costa l'invio al fronte ed una conseguente pallottola in fronte a Stalingrado, imbrocca la strada giusta e si avvicina ai centri del potere, diventando un tirapiedi di Himmler.
Aue esegue gli ordini con fredda razionalità (le pagine dove si cerca di uccidere più ebrei possibile col minor spreco di risorse sono raggelanti ma sembrano teatro dell'assurdo, una commedia buffa, se non fosse cronaca) e si arrabbia nei confronti delle inutili brutalità verso gli ebrei. Non per simpatia nei loro confronti, ma per la mancanza di senso del dovere dei commilitoni.
Ed è significativo che non si ponga mai la domanda "perche?" fin quasi alla fine del libro.
Veniamo sballottati su e giù per l'Europa in una folle sarabanda bellica sempre più insensata fino alla resa dei conti finale. Tutta la parte sulle macerie di Berlino è forse la più emotivamente partecipata di tutto il libro, si avverte il dolore e l'orrore per la città, dolore ed orrore che non viene manifestato per gli uomini.
A questa segue un capitolo delirante nella casa della sorella (di cui alcuni stralci sono forse l'unica cosa imbarazzante del libro, tipo quando si autoimpala sul tronco!) da cui lo salva, come sempre, il buon Thomas.
La storia personale a questo punto diventa la Storia, la disfatta, la ritirata, il rogo, insomma lo sfacelo degli ultimi giorni di guerra.
Ma Aue, con la sua solita fortuna, se la cava a buon mercato. Arriva ad 80 anni ed ha qualche problema di stipsi (nelle precedenti 900 pagine ci ha abbondantememte deliziato con i suoi problemi di diarrea!).
La scrittura: un po' di editing avrebbe giovato, ci sono punti ripetuti fino alla nausea e la scelta di lasciare tutti i gradi in tedesco è un filino esasperante. Ma il libro è ipnotizzante, molto ben scritto. Non credo che volesse farci provare simpatia per Aue (infatti ....), ma semplicemente provare a trasportarci nella testa di uno "degli altri", la cui comprensione ancora ci sfugge.
E quindi ci mostra tutti i pensieri, tutte le pulsioni, e forse spinge troppo sul tasto del morboso, ma ha senso. E' credibile. Non credo che un libro debba anche essere vero.
La costruzione dei doppi fa rimbalzare l'attenzione e crea una sorta di pas-à-deux: Max-Una, Max-Thomas, Max-Helene come se Max avesse sempre bisogno di uno "specchio" per poter vivere.
Domande irrisolte:
- che fine fa Helene?
- che fine fa Una?
- che fine fanno i gemelli?
- Clemens e Walser a Berlino erano un delirio o erano reali?
- il delirio onirico-onanistico di Max nel castello di von Uxhull era reale?
- dove è scomparso suo padre? e perchè?
- riusciranno Mandelbrod e LInden a fare soldi anche in Russia?
- ci aspetta un sequel che risponda a queste domande?

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